30 Giu Ancora sulla “comunicazione efficace”
In un altro post (Il sabotaggio interiore) abbiamo parlato della presenza a se stessi in relazione al sabotatore interiore, con relative implicazioni e conseguenze. Le quali non riguardano solo la nostra qualità di vita personale, ma anche, allo stesso modo, quella delle nostre relazioni con gli altri.
Un mio personale salto di qualità in questa consapevolezza l’ho vissuto, anni fa, durante una sessione di coaching. Nel senso che stavo lavorando su di me con un collega a cui avevo chiesto una mano su una certa questione molto importante. Stavamo discutendo circa il mio dialogo interiore e siamo arrivati a delineare almeno due modi diversi di gestirlo. Cioè: con quella vocina è facile litigarci, ma esiste anche l’opzione “prendiamoci un caffè insieme e parliamone”.
Da allora questa immagine, così semplice e “concreta”, è diventata uno degli strumenti più efficaci nel riconoscere e coltivare la presenza a me stesso. E di conseguenza ad accompagnare i miei coaching partner sulla stessa strada.
Nella mia esperienza personale e professionale rilevo che la reazione più comune alla comparsa del giudice interiore è quella della resistenza, del rifiuto, della difesa. Ma il conflitto, si sa, radicalizza le posizioni e porta alla chiusura reciproca. Se, invece, facciamo la scelta opposta, le cose cambiano completamente. Perché significa che ci predisponiamo ad ascoltare. Ascoltare le motivazioni dell’interlocutore, di un “altro” che in questo caso, la voce interiore, siamo ancora noi stessi.
Praticando però l’ascolto autentico verso noi stessi, impariamo e alleniamo quella capacità di dialogare che è la medesima che usiamo anche verso l’esterno. Il tipo di relazione che ciascuno di noi è in grado di intessere con le altre persone è un riflesso del tipo di relazione che abbiamo con noi stessi. Saremo inclini al conflitto o al dialogo con gli altri nella misura in cui avremo l’una o l’altra predisposizione verso la nostra voce. Anzi: diciamo pure con le nostre voci interiori, giacché in realtà sono più d’una, ognuna a rappresentare il punto di vista di una diversa parte di noi.
In questo modo siamo pronti a riconoscere spazio e legittimità ad ogni voce diversa, prima alle nostre interiori e poi a quelle delle altre persone con cui ci relazioniamo. E ad applicare quella che Claire Raines chiama “la regola di titanio”.
Se la regola d’oro è quella che conosciamo tutti, e cioè “fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, l’autrice americana ci fa notare che possiamo fare di meglio. Non sempre le altre persone hanno le nostre stesse predisposizioni, sensibilità, bisogni e desideri. Pertanto propone di andare oltre l’oro, con qualcosa di ancora più prezioso e resistente, rappresentato appunto dal titanio: “comportati con gli altri nel modo in cui loro desiderano che ci si comporti”.
Il metro a cui adeguarsi deve essere volta per volta quello del nostro interlocutore del momento, non il nostro personale sempre uguale. Per fare questo però è indispensabile conoscere qual è la mia sensibilità, dove fin dove arriva ciò che è importante per me, senza proiettare me stesso sugli altri.
Ecco che la presenza verso se stessi è la condizione che consente di riconoscere i diversi linguaggi, di tracciare e rispettare i confini e gli spazi personali di ciascuno. Quindi pre-condizione per una comunicazione che dia spazio al maggior numero di contenuti, dati e informazioni. In questo modo ci si ascolta, ci si comprende. Ci si può arricchire vicendevolmente negli scambi e andare oltre i conflitti. È questo ciò che sta dietro una delle formule più usate e abusate di questi tempi: è la comunicazione efficace.
A cura di:
Mattia Rossi