03 Mar Essere “presenti”
Noi Coach lavoriamo per renderci inutili. Ogni tanto mi capita di fare questa affermazione, che può sembrare provocatoria, paradossale, ma che in realtà nasce da una convinzione ben precisa. Che è questa: il coaching ha a che fare con il recupero e la crescita delle qualità umane delle persone. Anche delle loro perfomance, naturalmente, specie negli interventi aziendali, ma anche qui spesso si tratta di allenare comportamenti visibili che poggiano però su basi interiori e appartenenti alla persona prima che al ruolo aziendale o sociale.
Fra dette qualità, ce n’è una che io personalmente ritengo quella che fa la differenza tra gli esseri umani e gli altri animali: la consapevolezza. Cioè la conoscenza di se stessi come individui, del proprio essere, dei propri valori, di ciò che desideriamo e che è davvero importante per noi. La consapevolezza è il prodotto di una complessa elaborazione che intreccia tanti fattori (dalla razionalità alle emozioni, dalla cultura alle ambizioni e altro ancora) ed è grazie ad essa che siamo potenzialmente in grado di fare le scelte migliori (più ecologiche) e tenere i comportamenti più costruttivi nelle più diverse circostanze.
Alla base della consapevolezza c’è quella che noi chiamiamo “presenza a se stessi”. Non per caso la “Presenza” è una delle competenze professionali fondamentali del coach, ed ecco perché dico che lavoriamo per renderci inutili: perché essere presenti a se stessi in modo profondo, solido e lucido non fa bene solo a una sessione di coaching, ma più in generale alla qualità della vita e alla soddisfazione di ognuno. Appunto perché ci permette di avere sempre chiaro che cosa è importante per noi, quindi qual è il senso che vogliamo dare alle nostre azioni e, in definitiva, alla nostra vita.
Ma come si fa a coltivare e allenare questa “presenza”? Gli strumenti a cui mi affido più spesso e più volentieri sono le emozioni e le intuizioni. Non nel senso, semplicistico e ingenuo, di andare dove ci porta il cuore o di seguire acriticamente le nostre passioni: queste cose sono solo una parte della faccenda. Ciò che conta davvero è ricordarci che le emozioni sono informazioni. Informazioni su noi stessi. Un concetto semplice ma potentissimo, grazie al quale ho visto svoltare una quantità di percorsi di coaching.
Quando proviamo un’emozione, viene a galla il modo in cui stiamo vedendo e vivendo la situazione in cui ci troviamo. Semplificando molto, possiamo dire che un’emozione positiva ci segnala che siamo allineati ai nostri valori e a ciò che è importante per noi, mentre un’emozione negativa evidenzia un conflitto. In entrambi i casi, ragionandoci sopra, possiamo usare queste informazioni per esplicitare meglio la comprensione di noi stessi, partendo con una semplice domanda: che cosa c’è di preciso, in questa situazione, che mi suscita questo tipo di reazione immediata? Che cosa “mi piace” o “non mi piace”?
Possono sembrare domande stupide a risposta ovvia, eppure l’esperienza vissuta con il coaching ci insegna che non è così. Tra la domanda e la risposta autentica ci sono un sacco di schermi e interferenze, causate dall’educazione ricevuta, dalla pressione sociale, dal giudice interiore, dall’ansia di corrispondere alle aspettative, e molto altro ancora. Si tratta allora di sapere navigare tra condizionamenti e resistenze per arrivare a riconnetterci con ciò che ci appartiene veramente.
Tutto questo vale per le emozioni e vale allo stesso modo per le intuizioni. Cioè per quelle illuminazioni che talvolta ci attraversano la mente senza una giustificazione visibile. Un’intuizione non è altro che una elaborazione mentale che si svolge rapidamente sotto il livello della coscienza: ha le sue motivazioni e i suoi fondamenti, siccome la ragione non li vede, e non ha visto tutti i passaggi che quella ha seguito nel suo formarsi, subito oppone scetticismo o incredulità totale. Ma se questo pensiero mi è venuto in mente, sarà pur nato da qualche cosa, no? Indagare con apertura e curiosità genuina sull’origine delle intuizioni riserva di solito molte, interessanti e utili rivelazioni.
Per questo è importante essere presenti, cioè essere sempre in ascolto di sé stessi, pronti a cogliere il minimo segnale che ci possa dare informazioni utili alla costruzione di una consapevolezza sempre più matura e robusta. Una volta messa a fuoco la sua esistenza e la sua importanza, la presenza a se stessi va fatta crescere per mezzo dell’allenamento. Il meccanismo è lo stesso di quello applicato ai muscoli fisici: momenti dedicati all’allenamento specifico producono una presenza sempre più nitida e forte.
La capacità di ascoltarci ce l’abbiamo tutti. Aspetta solo che le venga dato il giusto spazio con un atto di volontà esplicito, magari con l’accompagnamento di un coach che può aiutare ad acquisire e consolidare il metodo più efficace. Con il tempo, saremo sempre più pronti ad agire non con il pilota automatico, bensì con la coscienza sempre lucidamente rivolta a ciò che è importante per noi. E anche nei momenti apparentemente peggiori saremo capaci di fare la scelta migliore per noi stessi, per le persone che ci circondano, per la nostra organizzazione.
A cura di:
Mattia Rossi