Diversità e inclusione nella conversazione di coaching

Diversità e inclusione nella conversazione di coaching

Nel provare a connettermi ai temi della diversità e dell’inclusione nascono immediatamente alcune domande:

Quante volte è capitato di trattenerci nel fare o dire qualcosa che sentivamo in linea con noi stessi, semplicemente per non deludere le aspettative di altri? O al contrario di agire comportamenti da noi non condivisi che rispondevano ad aspettative altrui?

In quali contesti e con quali interlocutori ci sentiamo a disagio nel momento in cui nasce dentro di noi il moto ad esprimere un punto di vista, e non lo facciamo, semplicemente perché fuori dal coro, ne temiamo le conseguenze?

Sentiamo di avere le capacità per porre ed entrare in questioni, anche scomode? 

Cosa si muove in noi quando siamo chiamati a cooperare per raggiungere obiettivi comuni con colleghi di lavoro che si differenziano da noi e con i quali non ci sentiamo in sintonia?

Carl Rogers affermava “Ciò che sono è sufficiente, se solo riesco ad esserlo”, un vero e proprio traguardo da realizzare e conquistare, almeno per molti di noi.

Sentirci riconosciuti per ciò che siamo, accolti, compresi e inclusi nella nostra diversità ci fa sentire bene e ci permette di esprimere il nostro potenziale.

Ritengo di aver appena sfiorato la punta di un iceberg, rispetto ad un tema vasto, complesso e ricco di implicazioni, come quello dell’inclusione; eppure, se ripenso alle conversazioni di coaching che ho con i miei partner o con i diversi team che mi capita di seguire, mi sembra ci sia già tantissimo per interrogarci sul ruolo che il Coaching possa assumere nel portare un contributo concreto alla creazione di ambienti inclusivi nei quali la diversità possa essere accolta, valorizzata e trasformata in una ricca fucina di potenzialità, creatività, agilità e innovazione.

Aggiungo inoltre il tema andrebbe osservato e affrontato da molteplici prospettive ognuna delle quali, ritengo, abbia aree di responsabilità e campi di azione su cui riflettere e agire. Quella organizzativa che, maturata la consapevolezza dei benefici che possono derivare dal creare una cultura inclusiva, si impegna a realizzare concreti piani di azione ad esempio valutando il proprio grado di apertura alla diversità, verificando i criteri con i quali vengono abitualmente selezionate le nuove risorse, aiutando e sostenendo le persone a sviluppare le competenze emotive, creando spazi di dialogo e feedback continuo sull’esperienza vissuta dalle persone rispetto alla cultura aziendale.

Dall’altro lato, la partecipazione, la responsabilità ed il coinvolgimento della persona che si trova ad affrontare situazioni nelle quali si sente ‘diversa’, ‘non considerata’, ‘sottostimata’ o in qualche modo ‘discriminata’ in relazione a differenze sociali e/o legate alla sua identità (razza ed etnia, genere e orientamento sessuale, classe sociale, neurodiversità, valori e convinzioni) e questo condiziona il senso di possibilità per esprimere in pienezza il suo potenziale.

Leggendo un articolo di Maria Cristina Bombelli, esperta di diversità e di management plurale, la mia attenzione viene richiamata dalla considerazione che le persone mettono in atto comportamenti difensivi volti a proteggere le proprie credenze e convinzioni e questo coinvolge inevitabilmente l’area della consapevolezza individuale e sociale. Visto che nella maggior parte dei casi, questi pregiudizi e stereotipi si muovono fuori dal nostro campo di osservazione e agiscono, soprattutto, a livello inconscio, il passaggio a ciò che facciamo e possiamo fare nel coaching è immediato.

La nostra capacità di essere accoglienti e inclusivi impatta fortemente sulla qualità dello spazio che riusciamo a creare in sessione per i nostri partner, e questo, consente loro di diventare consapevoli dei propri schemi valutativi riconoscendo e riorganizzando le proprie credenze e individuando così nuovi modelli di azione. Per riassumere:

“You have to see a box, before you can see beyond it.”

(R.Boyatzis)

Quali sono dunque alcuni comportamenti che ci indicano la via per continuare a svilupparci come coach a questo proposito?
Le competenze ICF ci aiutano in questo esortandoci a:

  • Riconoscere e rispettare le unicità, le intuizioni, i talenti e il lavoro del partner
  • Supportare la piena espressione di sentimenti, percezioni, preoccupazione, convinzioni
  • Rispondere con presenza alla sua interezza come persona
  • Ascoltando attivamente ed esplorando come percepisce se stesso e/o il suo mondo
  • Esplorando i suoi modi di pensare, sentire, i suoi valori, le convinzioni, i bisogni, desideri, comportamenti

Abbiamo imparato che fare ed essere coach significa continuare a lavorare su noi stessi e quindi per fare un po’ di pratica autoriflessiva insieme a voi, colleghi di questa comunità, mi pongo e offro alcune domande:

  • Quale aspetto di me chiede di essere riconosciuto ed accolto per poterlo accogliere nell’altro?
  • Quali momenti nella conversazione di coaching ancora fatico ad accogliere?
  • In quali situazioni ho bisogno di esprimermi con maggiore autenticità senza sentirmi condizionata dalle aspettative del mio partner? 

Pregiudizi, convinzioni, limiti, opportunità, autenticità, libertà di espressione, potenzialità, creatività, consapevolezza sono temi che ritroviamo continuamente nelle nostre conversazioni di coaching e sui quali possiamo ingaggiare i nostri partner durante una sessione, e sono anche temi nei quali ci ritroviamo ingaggiati, a sua volta, quando, dall’altra parte, come partner, siamo noi a lavorare, in una sessione di supervisione con un supervisor.

Non so voi, ma per quanto mi riguarda sono fortemente motivata a proseguire nel mio viaggio e coltivare le mie qualità e abilità da mettere al servizio e, quando ho bisogno di attingere a dei buoni esempi per evocare una grande includere, mi piace fermarmi ad osservare per lasciarmi ispirare e imparare dalla natura e dalla nostra grande madre terra, così ampia, presente e accogliente da contenere tutto ciò che esiste.

A cura di:
Mascia Alberti