20 Dic Il Silenzio Potente: uno spazio di presenza e di esplorazione
Il silenzio può portare con sé diversi significati, può rispondere a diversi bisogni e può generare differenti emozioni.
Il silenzio potrebbe essere definito muto ed inerme ma quanto è davvero così?
Sicuramente non rientra nel livello comunicativo verbale, in quanto manca l’ingrediente principale e cioè la parola; non può essere definito propriamente paraverbale, perché non ha una chiara tonalità, ritmo, velocità, etc…; non può neanche essere definito propriamente non verbale in quanto non è gestualità, postura, respirazione, movimento oculare, etc… Eppure può comunicare con estrema forza e importanza!
A me piace pensare al silenzio come ad una forma comunicativa multidimensionale e trasversale che può generare o trasmettere comunque parole, che può variare tonalità, ritmi o velocità e influenzare gestualità, postura o respirazione degli interlocutori coinvolti.
Il silenzio è un elemento comunicativo che può facilitare oppure ostacolare la relazione esistente e che può portare ad esempio le persone a dire qualunque cosa pur di riempirlo.
Cosa potrebbe accadere se ascoltassimo quel silenzio? Se non dovesse per forza nascondere qualcosa ma addirittura svelarlo? E se fosse un alleato anziché un nemico? Cosa vorrà mai dirci di noi?
Il tempo è sicuramente un alleato del silenzio perché è proprio in quel tempo e in quello spazio che esploriamo meglio noi stessi e i nostri pensieri. Sono poi proprio i pensieri una delle variabili su cui lavorare se vogliamo cambiare un’emozione e le conseguenti azioni/reazioni. Quindi il silenzio è a sua volta un ottimo alleato per chi vuole allenare la propria intelligenza emotiva.
Dove appare il silenzio nel coaching e quanto è importante?
Per un coach una sessione non inizia e finisce con l’arrivo e l’uscita del cliente bensì la preparazione comincia un pochino prima e si protrae un pochino dopo, come ben sappiamo.
Curare il proprio state pre e post sessione è determinante per una prestazione efficace e per non perdere di vista se stessi.
In entrambe queste fasi il silenzio può essere utile per ascoltarsi, ricentrarsi e concedersi un momento di assoluto “vuoto ripulitore”, come mi piace chiamarlo, magari con l’aiuto della meditazione.
Tutto questo va ovviamente a rafforzare la “presenza del coach” e “l’ascolto attivo” che sappiamo essere fondamentali per la buona riuscita di una sessione di coaching.
Come si può ascoltare senza fare silenzio? Oppure avendo fretta di dire la nostra prima che la dica qualcun altro?
Dovessi cercare degli aggettivi per definire il silenzio sicuramente direi: coraggioso, forte, sicuro di sé, rispettoso, paziente, accogliente, altruista, che evita illecite letture del pensiero altrui; il silenzio resta in attesa del momento giusto e lascia eventualmente che siano gli altri a parlare per forza.
Oltre al silenzio del coach esiste, nel coaching, un altro silenzio forse ancor più potente: quello del cliente!
Tante volte mi è successo, nelle prime sessioni all’esordio di questa fantastica professione, di spaventarmi se, dopo una mia domanda, ricevevo come risposta il silenzio seguito da un “non lo so”. Mettevo in discussione la mia capacità di fare le domande giuste e subito venivo sopraffatta da un unico pensiero: “e adesso cosa faccio?” e via a cercare subito in emergenza un’altra domanda da porre.
Poi strada facendo, e grazie alla formazione ricevuta, ho scoperto quanto il silenzio del cliente vada rispettato, quanto sia importante lasciarlo sedimentare e attendere in altrettanto doveroso silenzio. Ho capito che se dopo una mia domanda la risposta che ricevo è il silenzio molto probabilmente ho centrato la domanda.
Quanto è bello in quei momenti osservare come il cliente stia riflettendo e andando alla ricerca delle sue risposte, con la mente, tra i ricordi, nelle sue risorse? Ottimizzare quel silenzio per allenare la nostra capacità nell’interpretare il para e il non verbale, che vediamo davanti ai nostri occhi, è davvero stimolante: il movimento oculare, la testa, le mani, la postura, etc. Il nostro cliente in quel silenzio si sta potenziando, si sta scoprendo, chi siamo noi per interromperlo?
Potrebbe accadere che il cliente all’improvviso spalanchi la bocca, sgrani gli occhi e con sua inaspettata sorpresa esclami “Oh mio Dio, è vero!” oppure “Caspita, era tutto qua”; alcuni in quel silenzio potrebbero ridere fragorosamente o commuoversi o arrabbiarsi, dando sfogo alle proprie emozioni. Quando anche una sola di queste ultime cose accade, nella mia fase post sessione, mi dico sempre: “Che bella sessione oggi!”.
Il coaching mi ha insegnato l’importanza del silenzio anche nella mia vita di tutti giorni, lo apprezzo e non lo temo, a volte lo ricerco come ossigeno. Guardo con stima coloro che non sentono un’impellente necessità di dire comunque e sempre qualcosa, perché a loro potrò ispirarmi se avrò bisogno di mettere in campo la loro stessa risorsa. Quante volte ci siamo ricordati solo di quelle poche parole dette da quel qualcuno, tendenzialmente taciturno, ad un meeting o ad una cena tra amici? Colui che è capace di farsi ricordare per quegli unici 5 minuti di intervento mirato, a discapito di chi ne ha utilizzati magari 60 rincorrendo se stesso e il suo bisogno di emergere, ha un grande potere in sé.
Scegliamo il momento giusto, rispettiamo i silenzi, ascoltiamo le nostre emozioni ed usiamo la parola con maggior consapevolezza.
A cura di:
Francesca Di Gioia