26 Nov Il Coaching è contagioso
Il lavoro di manager e quello di coach sono molto diversi tra di loro, questo è chiaramente fuori discussione.
Però qualcosa in comune ce l’hanno. Mi riferisco a quelle competenze relazionali che sono gli strumenti costitutivi del coaching e che possono essere utilizzate anche dai manager per fare meglio il loro lavoro. Tenendo presente che quest’ultimo si regge sulla capacità di far lavorare al meglio le persone e i team, il che implica (tra le altre cose) saper creare un ambiente favorevole e saper gestire le relazioni tra e con le persone.
Cioè esattamente ciò di cui un coach è specialista. E così come un coach usa le competenze specifiche per facilitare la performance e lo sviluppo dei suoi coachee, anche un manager può usare quelle stesse competenze nel proprio ambiente di lavoro a vantaggio di collaboratori, colleghi e anche capi.
Gli strumenti fondamentali sono pochi e si inseriscono con naturalezza nel flusso dei comportamenti quotidiani, ma sono molto potenti quando utilizzati con la giusta maestria. Giacché si tratta di azioni che hanno nomi noti, come ascoltare, fare domande, dare feedback… ma richiedono presenza consapevole e intenzionale per essere realmente efficaci nel senso che intendiamo qui.
Saper ascoltare in modo attivo, profondo e contestuale – cioè, appunto, come un coach – è cosa che richiede il giusto studio di base e tanto allenamento. Ma è ciò che permette di comprendere i bisogni e di cogliere le reali potenzialità dei collaboratori. Permette di capire quando è il momento di agire in un determinato modo, e di capire quando e come rivolgersi agli altri nel modo più utile. Non solo: è più facile che una persona si esprima liberamente quando si sente ascoltata e rispettata. In questo senso, l’ascolto attivo aiuta a far uscire contributi originali e innovativi con beneficio generale.
Anche saper fare le domande opportune nel modo più efficace è una competenza che torno a vantaggio di tutti, dall’azienda al collaboratore, al manager stesso. Mi riferisco in particolare alle domande aperte, che sono quelle usate nel coaching e che vanno formulate con il tono e nelle circostanze opportune. Una domanda posta con cognizione di causa è uno strumento di sviluppo individuale per il collaboratore, perché lo aiuta a acquisire consapevolezza e a scoprire nuove prospettive e opportunità. Ed è uno strumento importante per il manager, perché gli permette di attivare i collaboratori così che questi acquisiscano intraprendenza e dunque alleggeriscano il suo lavoro, fino ad ampliare il raggio d’azione e moltiplicare le capacità di manovra del team.
Il feedback è uno degli strumenti più citati e più fraintesi nella quotidianità aziendale. Formulare un feedback che sia davvero tale – e non un giudizio – e fornirlo nei modi e nelle circostanze più adatte è una faccenda meno immediata e meno facile di quanto ritenuto da molti. Eppure è uno strumento preziosissimo, che completa i due appena visti. Il feedback chiude il cerchio della capacità di un manager di far crescere i suoi collaboratori (e anche i colleghi) e di costruire un ambiente di lavoro favorevole e efficace.
E qui tocchiamo una competenza che viene nominata di rado e però è indispensabile, in quanto fonda, riassume e mette a sistema gli strumenti appena citati. Mi riferisco alla capacità di generare un ambiente favorevole. Quello che fa il coach quando crea la bolla di fiducia e sicurezza dentro cui svolgere la sessione di coaching.
Per fare ciò, gli strumenti dell’ascolto, delle domande aperte e del feedback sono necessari, ma non sono sufficienti. È indispensabile che tali strumenti si reggano su un atteggiamento interiore del manager ben preciso: cioè sulla sua sincera fiducia nelle potenzialità degli altri, sulla sua genuina convinzione del fatto di avere davanti persone di valore, ricche di potenzialità e che meritano il massimo rispetto e i migliori sforzi per aiutarle a crescere e a trasformare quelle potenzialità in azioni reali. Senza questa convinzione tutto il resto funziona poco o niente.
Ma c’è dell’altro a rendere particolarmente interessante l’uso da parte dei manager delle competenze di coaching: il fatto che esse siano contagiose, e si possano trasmettere anche agli altri, siano essi collaboratori o colleghi (e anche capi). Non è certo ignoto il fatto che lo stile relazionale di chi riveste ruoli di responsabilità influenza l’ambiente circostante. Un manager che pratichi la presenza, l’ascolto e un sano stimolo alla crescita incarna un esempio che presto comincerà a riverberare nei comportamenti altrui, finché il valore di relazioni rispettose e stimolanti si diffonderà nell’ambiente, cambiandone i connotati.
Tutto questo è ben noto già in molte aziende: sono numerosi, già da qualche tempo, i corsi dedicati ai manager che vogliono conoscere a fondo le competenze del coaching per farsi ispirare nei propri comportamenti quotidiani. Possiamo quindi concludere che le competenze di coaching entrano a far parte del bagaglio delle competenze dei manager. E sono tra quelle che gli possono consentire di trasformarsi in un vero leader.
A cura di:
Mattia Rossi