22 Mar Riconoscere, navigare e trasformare le emozioni
Quante parole conosciamo per dare un nome alle emozioni? Forse qualche decina, eppure ne esistono a migliaia. E ogni cultura ha le sue terminologie peculiari, difficilmente traducibili in altre lingue senza storpiarne il significato.
Le etichette per nominare le emozioni sono costruite: sono i nomi che si sono evoluti per concettualizzare i diversi stati del corpo. Ma cosa rende così importante lavorare sulla nostra alfabetizzazione emotiva? Lisa Feldman Barrett si fa paladina di quella che chiama granularità emotiva: quanto più finemente riusciamo a identificare i diversi stati corporei – distinguendo, ad esempio, tra irritazione, frustrazione, ostilità, ansia e disappunto – tanto più riusciremo a capire noi stessi e gli altri, per a muoverci più efficacemente nel mondo. Quanto più riusciremo a etichettare con precisione le nostre emozioni, tanto più saremo in grado di comunicare più accuratamente i nostri bisogni agli altri e capire più precisamente anche le loro esigenze.
Le persone che mostrano emodiversità (la capacità di provare e riconoscere molte emozioni) sono più consapevoli di sé, sono in grado di navigare meglio gli stati emotivi anche quando sono stressate, godono di un migliore benessere ed equilibrio generali. In qualche modo, l’emodiversità aiuta due competenze cruciali: leggere i messaggi delle emozioni e farci qualcosa, ovvero scegliere a quale emozione delle tante che proviamo contemporaneamente, alzare il volume perché più funzionale ai nostri obiettivi. Pensate ai vantaggi dell’allenarsi all’emodiversità nel coaching, sia per il coach che per il coachee!
Dare un nome alle emozioni e conoscere quante più etichette linguistiche abbiamo a disposizione non è, dunque, un mero esercizio stilistico, ma la possibilità di allenarci, di farci qualcosa con quella emozione, oltre ad averne la consapevolezza.
Facciamo un esempio. Enttäuschung è una parola tedesca ufficialmente tradotta con “delusione”, ma rivela un significato più profondo, se si guarda alla scomposizione letterale della parola. La sola delusione, secondo la definizione del vocabolario, significa “tristezza o dispiacere causato dalla mancata realizzazione delle proprie speranze o aspettative”. Ma la cosa si fa interessante quando scomponiamo la parola Enttäuschung:
Ent(fernen) = Rimuovere
Täuschung = Illusione
Ovvero: Rimuovere l’illusione.
In altre parole, spesso proviamo delusione quando l’illusione delle nostre aspettative viene rimossa e siamo costretti ad affrontare la realtà. Quali erano queste aspettative? Cosa le ha rimosse? Questa nuova etichetta può rivelarsi utile se si impara a sfruttarla in modo efficace: per esempio, quando ci incoraggia a rallentare e a pensare, a prestare maggiore attenzione a dettagli sottili, a scavare a fondo invece di affidarci a conclusioni affrettate. In questo modo si impara un’importante lezione di intelligenza emotiva: la capacità di comprendere e navigare le emozioni può aiutare a trasformare la spiacevolezza di quella stessa emozione in qualcosa di motivante e potenziante. Con questa chiave di lettura, si può cambiare il rapporto che abbiamo con la delusione: non deve per forza essere paralizzante, ma al contrario più trasformarsi in energia liberatoria e motivante. Sì, la delusione brucia. Ma apprezzare il fatto che sia stato tolto il velo dagli occhi può aiutarci a fare scelte migliori, a prendere decisioni fondate sulla realtà. E agire.
Quale valore porteremmo allora, allenando queste competenze, alle nostre sessioni di coaching?
A cura di:
Ilaria Iseppato